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Refugium canagliarum

Parlamento “In Italia – diceva Flaiano – l’unica rivoluzione sarebbe una legge uguale per tutti”. Infatti è bastato che tornasse a esserlo per mezz’ora, con il via libera della Camera all’arresto del deputato Genovese, perché a palazzo scattasse l’allarme rosso. Onorevoli sotto choc, sguardi sgomenti, lacrime a fiumi, occhi pallati, svenimenti, ipossie, tornei di rosari, solenni promesse di non farlo mai più. Perché – sia chiaro – l’arresto di un parlamentare è e deve restare un’eccezione, come un gesto contro natura, un atto di cannibalismo (infatti, a parte l’ottimo Alfonso Papa, bisogna arretrare fino al 1984, con l’arresto per strage del missino Massimo Abbatangelo, per trovare un precedente). Anche Renzi, che pure ha avuto il merito di imporre ai recalcitranti compagni il voto favorevole e palese, tiene a precisare che sì, “la legge è uguale per tutti”, ma la mossa è finalizzata a “fermare Grillo”. Il che dimostra due cose. 1) Siccome, nelle leggi della natura, i predatori tendono a migliorare la specie predata, i 5Stelle stanno costringendo il Pd a fare qualcosa di giusto (il che accresce il rammarico per quel che di buono poteva accadere un anno fa, se la miopia di Bersani e la rigidità di Grillo non ci avessero riappioppato Napolitano e le larghe intese). 2) La vecchia guardia del Pd è così assuefatta al berlusconismo che, quando è costretta dalla concorrenza grillina a comportarsi bene, non se ne capacita e subito se ne pente. “Asciugatevi la bava alla bocca”, dice piangente Alessia Morani, responsabile giustizia del Pd ai pentastellati colpevoli di imporre il rispetto della Costituzione. Il suo precedessore Danilo Leva straparla di “tribunale dell’Inquisizione”. Il piccolo Speranza farfuglia di “scalpo elettorale” e “sangue che scorre”. I socialisti di Nencini abbandonano l’aula in segno di lutto. Il fico Fioroni vota orgogliosamente contro, vaneggiando di “ordalia di sangue” e “spettacolarizzazione” e spiegando che “dopo aver letto le carte ritengo ci siano gli estremi per un processo con rito immediato, ma non quelli della custodia cautelare”: come se toccasse al Parlamento sostituirsi al giudice e valutare non il fumus persecutionis (escluso persino da Fioroni), ma le esigenze cautelari, con tanti saluti alla divisione dei poteri. Altri 5 Pd votano No all’arresto, uno si astiene e 33 se la danno a gambe (tra cui Bersani e Letta jr.): a riprova del fatto che il Pd ha scelto il voto palese per paura non di fantomatiche “trappole grilline” (Pd e Sel han la maggioranza assoluta a Montecitorio), ma di imboscate interne. Sullo sfondo, le solite giaculatorie sul “garantismo” che – parafrasando Samuel Johnson sul patriottismo – è l’ultimo rifugio delle canaglie. Garantismo significa assicurare agli imputati tutti i diritti di difendersi nel processo. Non dal processo, e neppure dall’arresto, proprio a partire dall’art. 3 della Costituzione che vuole “tutti i cittadini uguali davanti alla legge”. Impedire l’arresto, già disposto dal giudice, di un indagato per le presunte ruberie sulla formazione professionale siciliana soltanto per il suo status di parlamentare, mentre i supposti complici sono in carcere da due mesi, sarebbe stata una violazione e non un’affermazione del garantismo. Invece qui è tutto un precisare e sottilizzare con linguaggio da reduci di guerra: “Premesso che io sono garantista”, “Vengo da una famiglia di garantisti”, “Sono garantista da sei generazioni”. Il Cainano, da Cesano Boscone, spiega che che FI è contro l’arresto di Genovese perché “siamo garantisti da sempre”. Il suo servo Ferrara lo lecca per aver “salvato la faccia al garantismo giuridico”. Il solito Bordin delira di “tribunale giacobino” e “reazionario”. E il piacente Alfano, per dimostrarsi diversamente berlusconiano, copia B. Lui, del resto, è “garantista” anche coi pregiudicati (che, finito il processo, non hanno più diritto ad alcuna garanzia): infatti ha imbarcato il bicondannato Previti, a riprova del fatto che non solo ignora il sostantivo “garantista”, ma pure l’avverbio “diversamente”, e soprattutto non sa ancora di essere ministro dell’Interno. Cioè il capo delle forze dell’ordine che i pregiudicati non li devono arruolare, ma arrestare. Garantisticamente, s’intende.

di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 17.05.2014

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