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Ministro degli Interni è “Genny ‘a carogna”

TifoLE TRATTATIVE SE GIOCARE O NO IN MANO AL CAPO ULTRÀ CHE PARLA SOLO CON IL CAPITANO HAMSIK IN UNA PIOGGIA DI BOMBE CARTA. RENZI INTERDETTO IN TRIBUNA.

 In una ubriacatura collettiva, dove il ministro dell’Interno viene sostituito da un nerboruto capo ultrà, Gennaro De Tommaso, detto “Genny ‘a carogna”, dei Mastiffs, i mastini napoletani, e il ruolo del prefetto affidato a Marek Hamsik, capitano del Napoli, viene deciso che la partita, “sì, si gioca”. Nessuna prova d’appello. Lo fanno capire le bombe carta che lasciano ferito anche un vigile del fuoco a bordo campo. Una pioggia di fumogeni e ordigni, quasi a dire “parliamo con Hamsik, e nessun altro. Decidiamo noi”. Il risultato è quasi marginale: finisce 3 a 1 per il Napoli. L’epilogo sono fuochi d’artificio, come se non fosse accaduto niente.
MA È LA LEGGE delle curve, ancora una volta, a prevalere. Lì dove la violenza e la massa si sostituiscono alla legalità. La decisione, tutto sommato, è prudente. Il metodo rasenta la pazzia collettiva. Il presidente del Consiglio, quello vero, Matteo Renzi, è in tribuna Monte Mario, ignaro di quello che gli accade attorno. Quello che è successo glielo spiega Giovanni Malagò, presidente del Coni, incravattato, enorme Rolex al polso. Con Renzi ci sono anche la moglie Agnese e i figli, spaventati quando esplodono le bombe carta. Algebrico e perplesso il presidente del Senato, Pietro Grasso, che volta lo sguardo verso le curve e guarda l’orologio, prima di partorire, a tarda sera, un comunicato tutto suo: “La violenza resti fuori dal mondo dello sport”. Per aggiungere: “Ho pensato più volte di lasciare la tribuna”. Non l’ha fatto. Tifosa da campagna elettorale anche Rosy Bindi, che poi sarebbe presidente della commissione Antimafia, mai vista con sciarpa viola al collo. Tutti appesi alla parola di un ultrà che deciderà se lo spettacolo può andare in scena o se devono tornarsene tutti a casa. Questo è quello che la Rai, attraverso le telecamere, ha trasmesso . Attraverso parole inutili e incomprensibili dei poveri telecronisti, impreparati nel raccontare una cosa che non appartiene al loro mestiere di commentatori. Si concentrano su particolari e perdono di vista la violenza. Parlano, quasi fosse un respiro di sollievo, di un episodio, quello accaduto fuori dallo stadio, legato alla criminalità comune. Quando cadono a pioggia le bombe carta per allontanare polizia, steward, forze dell’ordine, tacciono. Non sanno o fanno finta di non sapere che, oltre ai colpi di pistola, fuori dall’Olimpico ci sono stati degli scontri, più o meno gravi, documentati dalle fotografie. I telecronisti parlano di criminalità comune, di un regolamento di conti messo in scena tra la gente che avrebbe raggiunto lo stadio per sviare le indagini. Forse nelle prossime ore sarà tutto più chiaro, ma anche se così fosse nessuno può permettersi che gli ultrà decidano o meno se una partita si gioca. Il precedente, sempre all’Olimpico, in quel caso un derby tra Lazio e Roma, non dovrebbe fare giurisprudenza. Invece, ieri sera, pare sia stato così.
IMPREPARATI, impreparati tutti. I fratelli Della Valle, Andrea, nelle vesti di presidente della Fiorentina, e Diego, il proprietario; il padre padrone del Napoli Aurelio De Laurentiis, triade senza voce in capitolo. Sfilano tra le poltroncine personaggi minori, come Dario Nardella, Luigi Abete, l’ex Mario Pescante, Paolo Sorrentino, l’attore Silvio Orlando. E Francesca Pascale.    Nessuno sa, fino a quando non arriva la comunicazione attraverso il passaparola del verbo di Genny ‘a carogna: si giocherà. Non si tratta tanto di uno spettacolo che deve andare avanti per forza, quanto della decisione di un manipolo di violenti. Di un improbabile ministro degli Interni con la maglietta nera e la scritta gialla: libertà per gli ultras. Benvenuti allo stadio.
di Emiliano Liuzzi
Il Fatto Quotidiano 04.05.2014

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