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Governo Renzi alla prova del fact checking: quali promesse sono diventate realtà

Riforme istituzionali? A febbraio il testo si porta in Parlamento”. Riforma del lavoro? “Entro il 15 marzo”. Nuova legge elettorale? “A fine maggio”. Miliardi per i debiti della P.A? “A metà marzo”. Taglio dell’Irap? “Ai primi di maggio”. Sicurezza nelle scuole? “15 miliardi a giugno”. Garanzie per i giovani? “1,5 miliardi dal primo maggio”. La verifica, dati alla mano, di tutti gli annunci del premier.

E’ il 17 febbraio. Matteo Renzi – appena nominato e non ancora in carica – dice: “Entro il mese di febbraio compiremo un lavoro urgente sulle riforme della legge elettorale e istituzionali, nel mese di marzo la riforma del lavoro, in aprile la pubblica amministrazione e in maggio il fisco(Ansa). La formula annunciata è questa: portare a compimento una riforma ogni trenta giorni. E’ solo l’inizio, perché il premier sciorina una lunga serie di promesse anche il 24 febbraio mentre è inSenato a chiedere la fiducia e il 12 marzo, giorno della conferenza stampa con le slide in cui annuncia gli obiettivi economici in agenda. L’elenco è lungo: da “entro 15 giorni pagheremo tutti idebiti della P.A.” a “entro il 1° maggio -10% del costo dell’energia per le imprese”, passando per l’edilizia scolastica, il lavoro, i ‘mitici’ 80 euro, il piano casa e le ProvinceIlfattoquotidiano.itha esaminato tutti gli annunci e le promesse di Renzi. Ecco l’esame ragionato alla luce dei fatti delle sue dichiarazioni e quello che è successo dopo. Riforme istituzionali – NON HA RISPETTATO I TEMPI – Il ddl che dovrà riformare Senato e Titolo V della Costituzione doveva arrivare entro febbraio. Un mese dopo Renzi prende tempo: “Ho illustrato ai ministri un testo di riforma del Senato (…). Diamo 15 giorni e poi si porta in Parlamento” (Ansa, 12 marzo 2014). Invece il Cdm lo licenzia il 31 marzo e l’8 aprile arriva in Senato. Il 12 aprile, a Torino, dove inaugura la campagna elettorale del Pd, Renzi la spara grossa: “Entro il 25 maggio dobbiamo arrivare al superamento del bicameralismo” (Ansa, 12 aprile 2014). Sei giorni più tardi si mostra sicuro: “Sono molto ottimista che entro maggio il Senato approvi la Riforma del Senato e del Titolo V e del Cnel” (Ansa, 18 aprile 2014). Non solo la prima lettura, ma l’intera riforma. Quando il M5S dichiara di appoggiare il testo presentato dalla minoranza Pd, Renzi comincia a spazientirsi: “Lo facciamo entro maggio. Se vogliono perdere la faccia facciamo pure, io no” (Radiocor, 22 aprile 2014). Passano 5 giorni e, parlando a “In 1/2 ora” sul voto in prima lettura a Palazzo Madama entro il 25 maggio, il premier frena: “Se invece del 25 arriva il 5 giugno, non cambia niente” (Ansa, 27 aprile 2014). Il 29 aprile il voto slitta al 10 giugno: “Con 15 giorni in più nessuno si scandalizza”. Ma non sarà facile: il termine ultimo per presentare gli emendamenti in Commissione Affari costituzionali è stato fissato al 23 maggio. Ergo, sulle riforme si tornerà a lavorare solo dopo le elezioni. La verità, forse, è contenuta nel Documento di Economia e Finanza 2014 presentato l’8 aprile: alla voce “Riforme costituzionali”, a pagina 4, si legge. “Approvazione in Parlamento in prima deliberazione (…) entro settembre 2014.

Riforma del lavoro – PROMESSE RISPETTATE A META’ – “A marzo la riforma del lavoro”, spiegava l’ex sindaco il 17 febbraio: il 12 marzo il dl n. 34 firmato dal ministro Poletti viene approvato dal Cdm e il 20 marzo è pubblicato in Gazzetta Ufficiale. La promessa è rispettata. Non si può dire lo stesso dell’annuncio fatto il 24 febbraio in Senato: “Partiremo, entro marzo, con la discussione parlamentare del cosiddetto Piano per il lavoro”, diceva Renzi chiedendo la fiducia. Invece la discussione inizia solo 2 mesi dopo, il 22 aprile, e il 23 il testo incassa la fiducia alla Camera. Ora il dl è in Senato, ha subito alcune modifiche (in primis, l’obbligo di assunzione per le aziende che sfondano il tetto del 20% del numero di precari viene sostituito da una multa) e la nuova versione è tornata a Montecitorio per l’approvazione definitiva, che dovrà avvenire entro il 19 maggio, pena la decadenza. Giornali e governo parlano trionfanti dell’approvazione dello Jobs Act, che però è una cosa diversa. Perché il dl Lavoro è solo una parte della bozza di riforma presentata da Renzi l’8 gennaio con il nome di Jobs Act: un testo molto complesso contenente provvedimenti che vanno molto al di là di quanto contenuto nel dl Poletti, che si limita alla “semplificazione delle disposizioni in materia di contratti di lavoro a termine”, come recita il titolo del dl. Non solo: nel Jobs Act  la parola “contratto” compare 2 sole volte: si parla di “Riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40, che hanno prodotto uno spezzatino insostenibile” e di “un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”. Nel dl Lavoro non c’è traccia di nessuno dei due.

Riforma della PA – NON CE L’HA FATTA – Doveva arrivare entro fine aprile il testo di legge destinato a riformare la Pubblica amministrazione. Ma mercoledì 30 invece di presentarsi in conferenza stampa a Palazzo Chigi con un dl o un dd, Renzi arriva solo con le linee guida del provvedimento, che sarà un disegno di legge e non un decreto, e arriverà in “consiglio dei ministri il 13 giugno” (Ansa, 30 aprile). Tra tre settimane ci sono le europee e, anche se il governo dice di non voler ridurre gli organici, meglio non scontentare nessuno.

“Riforma elettorale entro maggio”. MA IL DEF DICE SETTEMBRE – “Se arriviamo al passaggio del 25 maggio senza aver fatto la legge elettorale – scandiva il premier il 18 dicembre alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa – e, almeno in prima lettura, la riforma costituzionale non andiamo da nessuna parte”. La prima versione del testo debutta alla Camera il 31 gennaio, ma le trattative con Berlusconi proseguono per tutto febbraio e il 5 marzo alla Camera arriva un testo diverso, da cui è stato stralciato l’articolo 2 relativo al Senato. Il 12 marzo l’Italicum passa a Montecitorio con 365 sì, 156 no e 40 astenuti. Il giorno dopo, a Porta a Porta Renzi ribadisce: “Entro il 25 maggio dobbiamo riuscire a chiudere la partita della legge elettorale e la prima lettura della riforma del Senato” (Asca13 marzo). La trattativa è bloccata da 2 mesi e domenica 4 maggio il ministro Boschi intervistata dal Messaggero rinviava ancora: “Possiamo approvarlo prima dell’estate”. Che inizia il 21 giugno. Il Def contiene forse la verità: alla voce “Riforma della legge elettorale (pag. 2) si legge: “Approvazione definitiva entro settembre 2014“.

Sblocco totale dei debiti della PA – NON CE L’HA FATTA – E’ il 24 febbraio, Renzi è al Senato per chiedere la fiducia e promette “lo sblocco totale, non parziale, dei debiti della P.A.”. Il giorno successivo a Ballarò fissa una data: “La Cassa Depositi e Prestiti (…) in 15 giorni permetterà di sbloccare i 60 miliardi bloccati per i debiti della P.A.” (Ansa25 febbraio). Il 10 di marzo, invece, non accade nulla e il 12 marzo Renzi rinvia di nuovo e l’importo cresce: “Sblocco immediato e totale del pagamento dei debiti della P.A. – 22 miliardi pagati – 68 miliardi entro luglio“, si legge su una delle slide (la numero 18) utilizzate dal premier per illustrare le misure economiche in agenda. Non passa un giorno che la dead line si sposta di 2 mesi: “Il 21 settembre, a San Matteo, se non abbiamo sbloccato tutti i debiti della P.A. – sorride sornione Renzi a Bruno Vespa il 13 marzo su un divanetto bianco di Porta a Porta – lei va in pellegrinaggio a piedi da Firenze a Monte Senario”. Basta dare un’occhiata al Def e si scoprono cifre e scadenze diverse: a pagina 10 si parla di “ulteriori 13 miliardi per accelerare il pagamento dei debiti arretrati (già avviato nel 2013-2014 con il pagamento di più di 47 miliardi ai fornitori della P.A.)”. I tempi? “Ottobre 2014″.

80 euro in busta paga – CE L’HA FATTA MA I TECNICI BOCCIANO LE COPERTURE – “Entro un mese diamo il percorso preciso su quanto e dove prendiamo i soldi per la riduzione di due cifre percentuali del cuneo fiscale”. E’ il 25 febbraio e Renzi parla così a Ballarò. La prima scadenza, quindi, è il 25 marzo. Invece lunedì 10 il premier gioca d’anticipo: “Mercoledì per la prima volta si abbassano le tasse. Non ci crede nessuno? Lo vediamo” (Ansa10 marzo). Avevano ragione gli scettici, perché il 12 Renzi si presenta in Cdm con una relazione e non con un testo di legge e in conferenza stampa fa una nuova promessa mostrando la slide: “+1000 euro netto all’anno a chi ne guadagna meno di 1500 al mese – Dal 1° maggio“. Dopo un tira e molla infinito per trovare le coperture, il 18 aprile il Cdm approva il decreto Irpef. Ma i guai non sono finiti, perché i tecnici del Servizio Bilancio del Senato, che analizzano il testo prima del passaggio in Aula, il 2 maggio evidenziano diverse criticità: l’aumento della tassazione sulle quote Bankitalia, utilizzato come copertura, pone dubbi di costituzionalità; il minor gettito derivante dal taglio dell’Irap potrebbe essere maggiore dei 2 miliardi previsti; il testo prevede l’utilizzo di risorse attese dalla lotta all’evasione, ma “non è stata fornita alcuna informazione in ordine a eventuali strumenti o metodologie che si ipotizza di utilizzare per il raggiungimento dell’obiettivo” (Ansa, 2 maggio). Tradotto: “Le coperture non ci sono”. E scatta la polemica con il presidente di Palazzo MadamaPietro Grasso. “I burocrati del Senato dicono il falso” accusa Renzi, con l’ex pm antimafia che risponde a tono: “Non discuta sulla nostra serietà”. Il carico ce lo mettono Forza Italia e Lega, che minacciano di querelare il premier. Ma il numero uno del Senato chiude la polemica: “Per me la lite con Renzi è finita lì”.

Taglio dell’Irap – TEMPI RISPETTATI, MA I TECNICI LO BOCCIANO – ”Irap -10% per le aziende – Dal 1° maggio“, si legge sulla slide numero 24 mostrata in conferenza stampa il 12 marzo. Il 18 aprile il Cdm licenza il decreto Irpef: “Riduciamo anche l’Irap del 10% attraverso misure strutturali per le aziende private”, spiega Renzi (Agi, 18 aprile 2014), ma il taglio sarà pienamente operativo solo dal 2015. Ma per i tecnici del Servizio Bilancio del Senato il minor gettito calcolato dal taglio dell’imposta, 2 miliardi, potrebbe essere sottostimato.

“1,5 miliardi per la tutela del territorio” – NON CE L’HA FATTA – 12 marzo, Slide numero 21: “1,5 miliardi per la tutela del territorio – Dal 1° aprile“. Dell’argomento si parla nel Def, che è un documento di programmazione triennale, è vincolante per il governo ma non ha valore di legge e può essere modificato. Ma per ora è solo un annuncio: il 22 aprile lo conferma il presidente della Commissione Ambiente, Ermete Realacci, che parla dello “sblocco di 1,5 miliardi già stanziati per contrastare il dissesto idrogeologico annunciato dal governo” (Ansa, 22 aprile).

“3,5 miliardi per la sicurezza nelle scuole” – NON CE L’HA FATTA – ”Un piano per le scuole –3,5 miliardi – unità di missione – per rendere la scuole più sicure e rilanciare l’edilizia”, si legge nella slide numero 20. E’ il 12 marzo. Il 27, parlando ai parlamentari del Pd, fissa una data: “I cantieri partiranno a giugno e i 3,5 miliardi ci sono”. Due settimane dopo, il premier è ancora più preciso: “Dal 15 giugno devono partire i cantieri in tutti i comuni” (Asca, 12 aprile). Qualche giorno dopo ribadisce: “Abbiamo tolto dal patto di stabilità” questi interventi, “saranno 3,5 miliardi di euro” (Radiocor23 aprile). Nel Def, tuttavia, i fondi scendono a quota 2 miliardi, come si legge a pagina 30. Se poi si va a guardare nel testo del decreto Irpef si scopre che per ora le risorse stanziate dall’articolo 48 (Edilizia Scolastica) non vanno oltre i 122 milioni per il 2014 e gli altrettanti del 2015. In tutto 244 milioni, non 3,5 miliardi.

Energia meno costosa per le imprese – NON CE L’HA FATTA – “Dal 1° maggio vi sarà un taglio dei costi dell’energia del 10% per le pmi attraverso una rimodulazione del paniere della bolletta energetica” (Adnkronos, 12 marzo), prometteva il premier, mostrando la slide n. 25. Di testi di legge non se ne sono ancora visti e del taglio dei costi si parla solo nel Def: “Riduzione di almeno il 10% del costo dell’energia delle imprese”, si legge a pagina 23 dove sono indicati anche i tempi: “Settembre 2014“. “Il piano è a buon punto”, ha spiegato il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi: un decreto da 1,5 miliardi che, insieme a circolari ministeriali e atti di indirizzo per l’Autorità dell’energia, dovrebbe arrivare entro maggio. L’entrata a regime del quadro normativo potrebbe arrivare in estate, ma “gli effetti si avranno entro fine 2015″ (Ansa30 aprile).

Auto blu all’asta – PROMESSA RISPETTATA A META’ E C’E’ CONFUSIONE SUI NUMERI – “100 auto blu all’asta dal 26 marzo al 16 aprile”, si legge nella slide 16 mostrata il 12 marzo. Il 26 marzo il governo parla “della vendita di 151 auto blu”. Ma i numeri non tornano: nell’avviso di vendita del ministero dell’Interno si parla dell’alienazione di 70 vetture; in quello della Difesa le auto sono 52; 8 quelle dei Vigili del fuoco. Il totale fa 130. Non tornano a tal punto che il 25 aprile il governo annuncia: “Si conferma che tutte e 52 le vetture finora messe all’asta su Ebay sono state regolarmente aggiudicate”, si legge in una nota di Palazzo Chigi. Quindi a finire all’asta sono state finora 52 auto e non 100, né 151. Poi il 28 aprile su eBay sono arrivate 9 Maserati blindate, per le quali all’8 maggio non era arrivata nessuna offerta. La notizia faceva il giro dei siti di informazione eil 9 maggio le 9 auto non erano nemmeno più sul sito di aste online.

Piano casa – IL DL E’ AL SENATO, MA LA COMMISSIONE BILANCIO HA DUBBI SULLE COPERTURE – Ne aveva parlato il 12 marzo: “Una casa per tutti – Sblocco del piano casa”, recitava la slide numero 23, senza indicare una data. Il 28 marzo il decreto legge numero 47 veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ma in Senato la Commissione Bilancio avanza numerosi dubbi sulle coperture: “Si va dalle norme che prevedono un taglio al fondo anti Tasi per finanziare ilbonus affitti (la riduzione al 4xmille per il 2014 per gli immobili affittati a canone concordato e per quelli nei comuni con emergenza abitativa) a quelle relative alla lotta agli affitti in nero passando per la cedolare secca per i canoni concordati” (Ansa, 8 maggio).

Garanzie per i giovani – IL PIANO E’ PARTITO MA “IL RISCHIO PARALISI E’ ALTISSIMO” – “1,7 miliardi per garantire ai giovani (18/29 anni) entro 4 mesi dal titolo di studio il lavoro o il proseguimento degli studi – Dal 1° maggio”, recita la slide 28. Si tratta del programma Youth Guarantee – Garanzia Giovani dell’Ue. Il piano è partito il 1° maggio, ma non mancano le difficoltà. Per metterlo in atto le Regioni devono firmare una convenzione con il ministero del Lavoro, ma in poche lo hanno fatto: ”Ad oggi sono state firmate quelle con Emilia-Romagna, Valle d’Aosta e Sardegna, mentre sono già pervenute quelle di Toscana e Veneto, che saranno firmate nei prossimi giorni”, annunciava il 27 aprile il ministro Poletti (Asca, 27 aprile). Cinque su 20. “Il rischio paralisi è altissimo”, spiegano i ricercatori dell’osservatorio Adapt: “Il sito web nazionale messo a punto per aderire al programma – si legge nel bollettino 155/maggio 2014 – non è ancora pienamente attivo, la campagna di comunicazione per la diffusione del piano non è ancora stata avviata e solo pocheRegioni hanno firmato una Convenzione con il Ministero del lavoro“. Eppure molte delle risorse a disposizione sono già state spese per la messa a punto del portale”. Non solo: se Renzi parlava di 1,7 miliardi, i fondi sono di meno: il sito del ministero parla di “1,5 miliardi“.

Riforma delle Province – APPROVATA, MA AUMENTANO LE POLTRONE – Le Province sono state riformate (e non abolite) il 3 aprile con l’ok definitivo della Camera ddl Del Rio. La riforma non porta la firma di Matteo Renzi (il testo era stato presentato il 20 agosto 2013 dal governo Letta), che tuttavia il giorno del sì del Senato sparava: “Tremila posti in meno per i politici” (Asca, 26 marzo). Non è così, perché il testo approvato aumenta le poltrone nei comuni: “Per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da dieci consiglieri e il numero massimo degli assessori è stabilito in due; per i comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 10.000 abitanti, il consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da dodici consiglieri e il numero massimo di assessori è stabilito in quattro”, si legge. In pratica a fronte del taglio di 2.159 poltrone con la riforma delle Province, aumentano i seggi per i consiglieri (pari a 26.096) e i posti da assessore (+5.036) dei Comuni fino a 10 mila abitanti.

di Marco Quarantelli
Il Fatto Quotidiano 15.05.2014

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