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Consumo di suolo in Italia

Ispra: negli ultimi 50 anni persi quasi 8 metri quadrati al secondo
«Questo vuol dire che ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quelle di Milano e Firenze»

Sono svaniti più di 7 metri quadrati al secondo di suolo libero per oltre 50 anni. Nel 1956 il consumo di suolo era al 2,8% mentre nel 2010 è  passato al 6,9%, con un incremento di 4 punti percentuali. Questo i dati più emblematici “estratti” dall’indagine Ispra sul Consumo di suolo nel nostro Paese, che ha  ricostruito l’andamento, dal 1956 al 2010, del consumo di suolo con una metodologia di rilevazione, aggiornata in grado di integrare i dati locali con i dati di osservazione della terra a livello europeo. Il lavoro analizza i valori relativi alla quota di superficie “consumata”, incluse aree edificate, coperture del suolo artificiali (cave, discariche e cantieri) e tutte le aree impermeabilizzate, non necessariamente urbane (infrastrutture). Escluse, invece, le aree urbane non coperte da cemento e non impermeabilizzate.

«Il fenomeno è stato più rapido negli anni 90, periodo in cui si sono sfiorati i 10 metri quadrati al secondo, ma il ritmo degli ultimi 5 anni si conferma comunque accelerato, con una velocità superiore agli 8 metri quadrati al secondo. Questo vuol dire che ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quella di Milano e Firenze» hanno dichiarato da Ispra.  In termini assoluti, l’Italia è passata da poco più di 8.000 km2 di consumo di suolo del 1956 ad oltre 20.500 km2 nel 2010, un aumento che non si può spiegare solo con la crescita demografica, sottolineano da Ispra: se nel 1956 erano irreversibilmente persi 170 m2 per ogni italiano, nel 2010 il valore raddoppia, passando a più di 340 m2.  Per quanto riguarda la graduatoria tra le regioni il quadro presenta differenze marcate tra il 1956 e il 2010. Nel 1956 le più cementificate erano  la Liguria, che superava di poco  la Lombardia con quasi il 5% di territorio cementificato, distaccando, eccezion fatta per la Puglia (4%), tutte le altre. Nel 2010 la Lombardia è divenuta prima nella classifica poco virtuosa, ed ha superato la soglia del 10%, mentre quasi tutte le altre regioni (14 su 20) oltrepassano abbondantemente il 5% di consumo di suolo (la Toscana è intorno al 6%).

Per il sottosegretario alle Politiche agricole, Franco Braga, intervenuto al Convegno di Ispra «ridisegnare il quadro della gestione del suolo è un problema non più rinviabile per l’Italia», mentre per il presidente dell’Ispra, Bernardo De Bernadinis, «bisognerebbe trovare un equilibrio tra il consumo di suolo, lo sviluppo delle città e il rapporto tra la campagna e l’area urbana».

In Europa in base ai dati riportati dal rapporto  “Overview on best practices for limiting soil sealing and mitigating its effects”, presentato per la prima volta in Italia dalla Commissione europea durante il convegno Ispra, circa il 2,3% del territorio continentale è ricoperto da cemento. Questa ricerca prodotta in sede europea evidenzia gli effetti dell’impermeabilizzazione che diminuisce molti dei benefici del suolo libero. Ad esempio, riducendo l’assorbimento di pioggia si avranno una serie di effetti diretti sul ciclo idrologico e indiretti sul microclima, producendo un aumento del rischio inondazioni. Inoltre, impermeabilizzando un ettaro di suolo di buona qualità con elevata capacità di ritenzione idrica (4.800 m3), si riduce in modo significativo anche l’evapotraspirazione.

L’energia necessaria per far evaporare quella quantità di acqua equivale al consumo energetico annuo di circa 9.000 congelatori, quasi 2,5 milioni di kWh. In termini economici, supponendo che l’energia elettrica costi 0,2 EUR/kWh, un ettaro di suolo impermeabilizzato comporterebbe una perdita di quasi 500 mila euro. Inoltre, è sottolineato ancora nella ricerca, l’espansione urbana e la cementificazione delle aree agricole pongono problemi anche sulla sicurezza e l’approvvigionamento alimentare. Tra il 1990 e il 2006, 19 Stati membri hanno perso una capacità di produzione agricola complessiva pari a 6,1 milioni di tonnellate di frumento (l’1% del loro potenziale agricolo, circa 1/6 del raccolto annuale in Francia, il maggior produttore d’Europa).

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