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Nunzia Catalfo (M5S)-“Reddito minimo, ora è possibile”

Nunzia CatalfoIl disegno di legge è ormai incardinato in Commissione Lavoro e la possibilità che il reddito di cittadinanza approdi in aula è ormai reale. Sarebbe una novità nel dibattito soprattutto se si ricorda che la proposta di un reddito minimo o vitale o, ancora, di cittadinanza, è stata anche prerogativa del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Quando ancora non era premier. Nunzia Catalfo, senatrice M5S, se ne occupa da quando è stata eletta ed è convinta che il traguardo sia alla portata. “Abbiamo ascoltato i sindacati e nei prossimi giorni ci sarà anche l’audizione della Cei. Se davvero chi lo sostiene deciderà di impegnarsi potremmo riuscirci”.

Qual è la filosofia della proposta?

È il reddito di cittadinanza sulla base del sistema danese, paese in cui la misura ha prodotto un immediato aumento della produttività. Occorre avere più di 18 anni, essere inoccupato o disoccupato, percepire un reddito di lavoro o una pensione inferiore alla soglia di povertà. La cifra a livello individuale è di 780 euro diversificata a seconda dei componenti della famiglia.

Ad esempio?

Se per un componente il reddito corrisposto è di 780 euro, per due componenti si va da un minimo di 1.014 a un massimo 1.170 euro; per tre componenti da un minimo di 1.248 a un massimo di 1.560 euro e così via.   Perché 780 euro?   È l’indicatore ufficiale di povertà monetaria dell’Unione europea ed equivale al 60% del reddito mediano familiare, quantificato in 9.360 euro annui e, quindi, 780 euro mensili. Il reddito mediano è la linea di reddito raggiunta dalla metà delle famiglie italiane.

Si tratta di un ammortizzatore sociale?

No, è una misura attiva, collegata alle politiche attive e al reinserimento al lavoro degli individui. Viene infatti erogata individualmente. Le persone che non sono in età da pensione devono sottostare a una serie di condizioni con un percorso di orientamento per il reinserimento lavorativo. Una delle novità che introduciamo è anche quella di una disponibilità, per otto ore settimanali al massimo, ad aiutare la comunità. Ma niente lavori socialmente utili, si tratta diun’esperienza fallita.

La proposta prevede anche   un salario minimo orario?

Sì, di 9 euro lordi l’ora. C’è almeno un 25 per cento di lavoratori non coperti da alcun contratto nazionale e anche all’interno dei contratti ci sono molti abusi.

Quanto costa e chi lo paga?

Il totale da noi calcolato è di 15,5 miliardi. Le coperture sono state già bollinate dalla Ragioneria generale di Stato. Si va dai 4,5 miliardi di risparmi dalle spese della Pubblica amministrazione ai 3,5 di riduzione delle spese militari. Tra i 2 e i 4 miliardi vengono da un’imposta sui patrimoni superiori ai 2 milioni, 1,1 miliardi dalla riduzione dei costi della politica e 1,2 da una tassazione delle grandi società del petrolio e gas. C’è anche una riduzione dell’8 per mille alla Chiesa.

Esistono altre proposte, la stessa Libera di don Ciotti ha avanzato un’ipotesi. Come vi relazionate agli altri?

Sì, c’è la proposta in commissione avanzata da Sel e altre proposte di iniziativa popolare come quella di Libera. Se c’è una convergenza siamo pronti al dibattito a condizione che sia costruttivo per una misura di cui c’è urgenza nel Paese.

 Quante possibilità ci sono di farla passare?

Dipende dall’informazione, dalla sensibilizzazione ma anche da quanto i parlamentari che si dicono favorevoli saranno coerenti con quello che dicono. La possibilità stavolta c’è.

s.can.
Il Fatto Quotidiano 03.03.2015

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