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L’orso cinese e la fine delle Pmi italiane

orsocineseIntervento di Nicola Morra portavoce M5S Senato

“Segnatevi questa data: 11 dicembre 2016. E’ da temere come il giorno dell’Apocalisse, potrebbe essere l’inizio della fine del nostro sistema produttivo. I Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, più conosciuto come WTOin lingua inglese) entro quella data potrebbero essere riconoscere alla Cina il cosiddetto “Market Economy Status” (MES) e cioè di essere diventata, nonostante non in possesso dei requisiti previsti dal diritto internazionale e da quello comunitario, una economia di mercato ai fini dell’imposizione di dazi anti-dumping. Avrebbe cioè la stessa “qualifica” dell’Unione Europea, di Usa, Giappone, Russia, India, Australia, Canada e gran parte dei Paesi del mondo. Come dal momento del suo ingresso nell’OMC, nel 2001, la Cina invece dovrebbe continuare ad essere considerata, giustamente, una “non market economy”. I Paesi importatori di semilavorati o di prodotti industriali cinesi dovrebbero quindi, poter continuare ad imporre dei dazi e delle tariffe protettive contro eventuali azioni di dumping cinese per garantire un’efficace difesa commerciale contro la concorrenza sleale.

Cos’è il dumping e perché deve essere fermato
Dumping, da wikipedia: “Il dumping è una procedura di vendita di un bene o di un servizio su un mercato estero ad un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita (o, addirittura, a quello di produzione) del medesimo prodotto sul mercato di origine”.
In parole semplici, la Cina esporta a prezzi bassissimi, fino a far chiudere le aziende concorrenti negli altri Paesi – dal momento che queste non riescono a sostenere la guerra dei prezzi al ribasso – e conquistare così i nostri mercati. 

Antidumping
Per questo motivo le vendite in dumping sono state disciplinate dalle norme internazionali anti-dumping previste dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, 1995). Così, la UE può imporre dei dazi sui prodotti cinesi, in modo da bilanciarne il prezzo a tutela della libera concorrenza, in quanto, senza i dazi, si creerebbero gravi distorsioni sul mercato di importazione e si attribuirebbe un vantaggio di base all’impresa importatrice nei confronti degli altri soggetti (produttori od esportatori) che operano nel mercato di importazione per lo stesso bene o servizio.
Ebbene, il riconoscimento della Cina quale economia di mercato a pieno titolo ci impedirebbe di rivalutare i loro prezzi e costi interni attraverso i dazi. E permetterebbe loro di conquistare i nostri mercati trasformandoli da concorrenziali in monopolistici a loro vantaggio.

Quali conseguenze con la Cina economia di mercato?
Se alla Cina venisse riconosciuto da parte dell’Unione Europea, addirittura su proposta della Commissione Europea, lo status di “economia di mercato” – e di questo abbiamo in queste settimane tanti presagi negativi causa l’“inerzia” di molti governi, ivi compreso il nostro – chiuderebbero, nel giro di pochissimi mesi, migliaia di imprese, e perderemmo tra 1,75 e 3,5 milioni di posti di lavoro in Europa e centinaia di migliaia solo in Italia. Lo sostiene uno studio pubblicato dall’istituto di ricerca economico Economic Policy Institute e noto anche in Italia.

Alcune testimonianze
Il presidente degli industriali del calzaturiero italiano Annarita Pilotti è intervenuto sul tema: “la Cina non ha ancora adottato gli standard richiesti sui propri mercati interni e continua a sovvenzionare numerosi settori della sua industria nazionale, portando a fenomeni di sovrapproduzione ed a prezzi di dumping, permettendo ai marchi cinesi una concorrenza sleale con i competitor europei”. “Perché -domanda- la UE dovrebbe dare indebiti vantaggi a un partner commerciale in un contesto competitivo non equo? La concessione dello status di economia di mercato alla Cina renderebbe molto più difficile per la UE difendere la propria capacità industriale, con possibili ingenti danni sulle imprese e l’occupazione”.
La presidente del Comitato tecnico per l’internazionalizzazione e gli investitori esteri di Confindustria, Licia Mattioli, ha poi dichiarato: “Trovo allarmante il silenzio della UE… mi auguro che trovino il coraggio di dire le cose come stanno. Il tempo è breve e urlare quando la casa sarà bruciata non servirà a nulla”.
L’esponente di Confindustria, in modo chiaro ed inequivocabile, ha confermato il rischio della perdita di milioni di posti di lavoro in Europa e centinaia di migliaia nel nostro Paese, se la Cina dovesse ottenere questo riconoscimento.

La politica italiana ed europea cosa dice?
Silenzio totale. Il premier tace, come l’Europa. Ma dicembre 2016 è vicino. E le prossime settimane saranno cruciali perché la Commissione Europea sembra stia per presentare una proposta legislativa che accontenterebbe la Cina e che metterebbe tutti di fronte al fatto compiuto. Questo senza trasparenza con le altre istituzioni, senza una valutazione d’impatto, mossa esclusivamente da ragioni politiche iperliberiste che hanno già distrutto l’economia reale in molte parti della UE e che soddisfano solo le esigenze di un capitalismo finanziario senza radici, senza identità culturale e morale, capace soltanto di delocalizzare le produzioni dove il costo della produzione e costo del lavoro risultano più vantaggiosi per la proprietà.
Per ottenere un pronunciamento da parte del nostro esecutivo ho scritto un’interrogazione parlamentare con cui sollecito il presidente del Consiglio a prendere una posizione netta sulla questione: con la Cina o con l’Italia? Nella mia interrogazione cito anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e quello dello Sviluppo economico Federica Guidi.
Inoltre vorremmo conoscere il ruolo, anche passato, dell’Italia su questa problematica. E’ vero che Romano Prodi è stato invitato dalla Commissione Commercio Internazionale (INTA) del Parlamento Europeo ed è stato consulente d’importanti gruppi cinesi?” Nicola Morra – M5S portavoce Senato

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