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Di Matteo: “Napolitano ha svelato che lo Stato sapeva tutto”

Nino Di MatteoHanno detto che la sua deposizione era irrilevante, inutile e persino “dannosa” per l’immagine dell’Italia: ora che Napolitano ha compiuto il suo dovere di cittadino italiano primus inter pares, come lo ha definito il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, gli stessi soloni si avventurano a sostenere che le parole del capo dello Stato costituiscono un “siluramento” per il processo in corso nell’aula bunker di Palermo.

Dottor Di Matteo, a mente   fredda e senza le pressioni   conseguenti al black-out informativo voluto dal Quirinale,   perché è stata importante la   testimonianza del capo dello   Stato?
Perché ci ha dato la conferma che, dopo le bombe del ’93 ai livelli più alti delle istituzioni di allora si ebbe immediatamente la consapevolezza, cito testualmente il presidente, “di un aut-aut nei confronti dello Stato da parte della mafia corleonese per alleggerire la pressione detentiva o, in caso contrario, proseguire nella strategia destabilizzante dello Stato” . “Ne fummo tutti convinti”, ha detto il presidente della Repubblica. E in questo modo ha dato un contributo importante all’accertamento della verità.

E quindi viene più difficile sostenere che solo tre mesi dopo, a novembre, il guardasigilli Giovanni Conso decise di revocare oltre 300 provvedimenti di 41-bis, come disse, “in assoluta solitudine”.

Appunto.

La stessa precisione di memoria non sembra però che il capo dello Stato l’abbia avuta in occasione delle domande che gli avete posto sulla lettera scritta da Loris D’Ambrosio e sulla natura di quegli “indicibili accordi” citati nella missiva. Sembra anzi che durante le risposte abbia evocato più volte le sue prerogative costituzionali senza mai farvi ricorso formalmente, dicendo di essere preso tra “due fuochi”, tra due “esigenze contrapposte”. Com’è andata?

Posso dire che il presidente non si è mai sottratto ad alcuna domanda, né ha mai fatto ricorso alle prerogative fissate dalla Consulta. Sulla lettera il suo apporto è nullo, inesistente. Ha detto di non avere avuto notizie da D’Ambrosio, né di averle sollecitate, neanche quando il giorno dopo lo convocò per respingere le sue dimissioni.

Ha saputo spiegare i turbamenti di D’Ambrosio? Sembra che Napolitano abbia attribuito quei turbamenti al doppio interrogatorio subito dalla Procura di Palermo, ma nella lettera è detto chiaramente che D’Ambrosio si riferiva a un periodo più lontano nel tempo…

Infatti.

C’è stata una domanda che lei ha posto e alla quale Napolitano non ha risposto?

No, il presidente ha risposto a tutte le domande. C’è stata invece una domanda finale che il presidente della Corte d’assise, Alfredo Montalto, ha ritenuto di non ammettere.

Quale?

 Avevamo chiesto se da presidente della Camera di allora avesse avuto notizie delle revoche del 41-bis.

E perché non è stata ammessa?

Perché, ha detto il presidente Montalto, si allontanava dal capitolato di prova.

È vero che in apertura di udienza non vi siete alzati all’ingresso del presidente della Repubblica?

È vero, anche la Corte è rimasta seduta come sempre avviene quando entra un testimone nell’aula destinata all’udienza.

di Giuseppe Lo Bianco
Il Fatto Quotidiano 30.10.2014

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